il Giappone in Italia


Lezione 2

Eccoci giunti alla seconda lezione di lingua giapponese. Nella prima avevamo visto un modo per presentare a qualcuno un nostro conoscente. Ricordate?

FLAVIO SAN, KOCHIRA WA ALESSIO SAN DESU             

Vediamo ora come presentare noi stessi in maniera adeguata. La prima parola che dobbiamo memorizzare è:

HAJIMEMASHITE

Provate a ripeterlo qualche volta per memorizzarlo… HAJIMEMASHITE (la J si pronuncia come la nostra G, un po’ più soft, come in “giro”). Questa è la prima cosa che si dice presentandosi. Potremmo tradurla come “inizio a presentarmi…”.

Avevamo visto che accanto ad ogni nome viene posto un suffisso, in genere SAN. Ma quando parlo di me stesso, questo viene omesso e quindi per dire che mi chiamo Flavio, dirò:

WATASHI WA FLAVIO DESU = io (WATASHI) mi chiamo Flavio, sono (DESU) Flavio

Avrete notato che mentre in italiano il verbo viene posto tra “io” e “Flavio”, in giapponese viene sempre posto alla fine della frase. Letteralmente sarebbe “io Flavio sono”, alla sarda. Ecco, se siete sardi la cosa risulterà certamente più chiara da apprendere. Io Flavio sono!!!

Quindi la prima parte della presentazione è fatta:

HAJIMEMASHITE, WATASHI WA FLAVIO DESU = piacere, mi chiamo Flavio

Ma facciamo una postilla e diciamo che in realtà in giapponese la lettera “L” non esiste nel vocabolario. Quindi frasi sceme per prendere in giro gli orientali tipo “io non potele sapele…”, sono più adatte ai cinesi che ai giapponesi, che la L proprio non la considerano. Ma se andiamo poi ad analizzare la cosa non va bene nemmeno tanto per i cinesi, che non è vero che usano il suono della L al posto della R. La R in cinese esiste eccome, ma questo è un altro discorso.

I giapponesi quando si trovano di fronte a parole estere che non possono tradurre con il loro vocabolario, tendono a giapponesizzarle, creando una parola che ha un suono molto simile. Lo fanno utilizzando l’alfabeto KATAKANA, che vedremo poi, e nel caso specifico il mio nome non sarà più Flavio, ma FURABIO. Quindi la frase precedente, pronunciata da un giapponese diventa:

HAJIMEMASHITE, WATASHI WA FURABIO DESU

E la stessa cosa è valida per tantissimi altri nomi o parole estere: Marco diventa Maruko, Smith diventa Sumisu, Armani diventa Arumani, e così via…

Ma credo che a questo punto sarete già stanchissimi e quindi vorrei intervallare la lezione con questo video. Un po’ di J-pop non fa mai male! Ma a dire il vero questa canzone non è di un gruppo giapponese ma coreano. Sono le Wonder Girls e la canzone si intitola “Like this”. A me più l’ascolto e più piace. Comunque vi posto il video delle ragazzotte che si allenano in palestra provando i passi del balletto legato alla canzone. Vi invito a fare altrettanto. E’ facilissimo, credetemi….

 

Rieccoci qui. Dopo la pausa riprendiamo la nostra presentazione giappa. Cominciamo a conoscere questa parola: DŌZO. Ora, alcune parole giapponesi, così come accade in altre lingue, allungano le vocali. Qui ad esempio non diciamo DOZO, con la O corta, ma la allunghiamo: DOOOOZO (non così lunga ma era per far capire...).
L'allungamento della vocale O viene evidenziato con un trattino posto sopra la vocale stessa. In realtà poi la corrispondente scritta di una O allungata può essere fatta traducendola in alfabeto giapponese riportando due O vicine o la O seguita dalla U. In entrambi i casi la pronuncia sarà Ō, e il fatto che poi quella O allungata derivi da un dittongo OO o OU si apprenderà pian piano con il tempo, fermo restando che quasi sempre si tratta di O seguita da U: OU = Ō. Ma non è sempre così...
DŌZO viene usato quando si vuole invitare qualcuno a fare qualcosa, a prendere un documento ad esempio, ed è un modo gentilissimo di rivolgersi all'altro.
Se ad esempio sono a scuola e l'insegnante mi porge dei fogli da distribuire ai miei compagni, quando lo faccio mi rivolgo al compagno porgendo il foglio e dicendo DŌZO, "prego...". Il compagno risponderà con DŌMO, "grazie".
YOROSHIKU è una parola un pò complicata ora da spiegare. Diciamo che potremmo tradurla con "bene", ma è un concetto un pò differente in realtà.
ONEGAISHIMASU è utilizzato invece spesso quando ad esempio chiediamo a qualcuno qualcosa e potremmo tradurlo come "per favore".

Quindi ricapitolando: DŌZO YOROSHIKU ONEGAISHIMASU potremmo tradurlo come "per favore mi tratti bene", ma sò da me che è una ciofeca di traduzione, ma per ora prendiamola così. Dunque siamo ora pronti a presentarci in maniera completa:

HAJIMEMASHITE, WATASHI WA FLAVIO DESU. DŌZO YOROSHIKU ONEGAISHIMASU

In realtà WATASHI WA può anche essere omesso. Potrebbe capitarvi di sentire l’ultima parola leggermente diversa, ovvero: ONEGAI ITASHIMASU. Questa forma è molto rispettosa ed è utilizzata quando si vuole esprimere molto rispetto verso il nostro interlocutore, magari un superiore.

Pausa. Un bel mini-documentario sul Giappone:

Ed ora terminiamo la lezione evidenziando questo: Sia nel caso di DESU che di ONEGAISHIMASU, la U finale non viene pronunciata. Quindi non sentirete “desu” ma “des”. E così per moltissimi altri casi. La U finale solitamente non viene pronunciata. A volte invece la sentirete. Questo perché la persona che parla vuole essere molto cordiale o formale, e allora la accenna e si sente chiaramente anche la U dopo la S. Ma voi abituatevi a non pronunciarla mai. E’ un consiglio da sensei, ok? (e qui partono le pernacchie…”ma sensei de che, a buffoneeeee!!!”).

Vabbè, alla prossima.

Piccolo vocabolario:

HAJIMEMASHITE = piacere

DŌZO = prego…

DŌMO = grazie

YOROSHIKU = trattami bene

ONEGAI(ITA)SHIMASU = per favore

FURABIO = ragazzo belloccio e simpaticissimo